Canto LIV, versión en italiano

Traducción de Bernardo Santos


L'EUROPA MUTA

 

 

Non voglio più scendere per la tua patria

né saltare a due a due giù per le scale

                                     d’avanti la luce

arrabbi le porte finché non ottieni le schegge

di calcare spezzato e neve che aspetta:

non voglio più affidarti la mia patria.

 

Quindi sdraia questa terra di stracci

nel cercare poi la luce e le vetrine,

sali alle tue tombe da idiota sala,

non voglio più spararti in testa

né scendere nel seminterrato

per comprarti la bugia le risate lo scafandro

il suo tetto accogliente

e tutta la passione dei suoi annegati.

 

Non posso più dirti “ululato”

né rivendicare diritto ai tuoi fuochi

dolci e macchiati come un bambino lungo.

Ovviamente allora

ti priverò delle cose

che si sono rotti e si staccano

del tuo modo di piantarti davanti alla casa

e occupare i camini e abitare nei loro angoli.

Non posso più accogliere i tuoi fratelli

(quelli che sono morti qui

ti hanno aperto la lingua con il loro pane ardente)

né barattare il mio cappotto con un'ascia.

 

Dovresti quindi uscire dalle mie dita lentamente

abbandonare i tuoi misteri e partire presto:

non posso più innalzare la tua bandiera

e tenerla nel cassetto-per-mettere-le-paure

(certo che posso

dimenticare il tuo disgusto povero e finto

al tuo pezzo di amicizia fatto strage

e al ritmo di cinque proiettili al secondo

metterti nei tuoi buchi e portati altre sciarpe).

 

Non ho più intenzione di bilanciare i tuoi conti

né perciò uscire col tuo figlio morto

per spremerti in parole o per posare di nuovo

nel tuo puzzle di conquiste.

Certo, non contare più su di me

né apparire alle feste dell'Ashura a Muharram:

per scardinare le porte e farle cadere nella paura

bastano i tuoi urli e il tuo roco sangue.

 

Entro la fine della sera

non potrai scendere a casa mia

né ballare più per i gomiti della stanza.

Non potrai nemmeno spogliare le bambole

né potrai più nasconderti dal lupo:

non potrai rimpinzarti di cenere—

sono altri miei amici e non c'è tempo

non c'è quasi più tempo

non sono rimasti nemmeno altri due proiettili

nel vomitare il tuo nome Europa, ulula,

dietro il cimitero bianco.

Grand Tour. Reisen durch die junge Lyrik Europas (2019)



Canto XXXIV de La marcha de 150.000.000

Traducción de Petra Strien
para la antología 
(a cargo de Federico Italiano y Jan Wagner;
Hanser ed., Munich, 2019):


Und ich werde aufhören müssen euch anzuschauen

Die kranken Frauen, die mit Eseln spielten,
die, die Gräber gruben in den Handflächen des Donners,
die Solo-Stimmen, verschlafen in Sonnenzentren,
die Hungrigen nach allem,
die Schwangeren mit allem,
die Töchter des Streichs und der feuchten Träume,
die, die Kontinente fixieren, die sie verließen,
die mit Pfeffer in ihren fünfzehn Treulosigkeiten,
die mit dem Brot-zu-zehn-Cent ohne Cafeteria,
die mit der Besuchszeit und mörderischen Jobs,
die ewigen Mütter der Call-Center,
die schrecklich Verlassenen in den Ballsälen,
die am Boden Zerstörten, die Mauergesichter, die Gelöbnisschluckerinnen,
die Verheimlichten, die Zukunft Gebärenden,
die Büroangestellten, die ihren Prinzen ertränkten,
die in die Enge Getriebenen,
die Schutzlosen, die Totengräberinnen,
die des aufgedrängten Ficks, des Schlucks zur Unzeit,
die ein klein wenig Eroberten,
die in blaues Leichentuch gekleideten Frauchen,
die, die die Welt flicken, um sie nicht zu sprengen,
die Frauen mit Nägeln wie wachsende Landkarten,
die Weibchen mit Haaren wie aus Stein gehauen,
(größer noch als ihr eigenes Wrack)
die einander Verfeindeten, die Akrobatinnen,
die, die an die Taschen geheftete Erde mitbrachten,
die nie Zurückgekehrten,
die nie Sichtbaren,
die des Es-ist-nie-zu-spät,
die des Vis-à-vis ohne Wartezeit,
die Königinnen in den Parks und in den Gossen,

sie alle: die Frauen, die mir zulaufen mit ihren
Erschöpfungen,
alle, insgeheim: die Geliebten
meine / Genossinnen.